Alberto Michelotti e Carlo Grisolia
sono due ragazzi genovesi che hanno vissuto, fra di loro e con i loro coetanei, una storia di amicizia, aperta ed alimentata da un obiettivo comune: portare a tutti il dono dell'ideale evangelico del mondo unito, della fraternità universale.

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Alberto RITRATTOAlberto Michelotti nacque a Genova il 14 agosto 1958 da Silvio (deceduto nell’ottobre 1981) e da Albertina Vinciprova.  Ricevette il Battesimo il 21 agosto 1958 nella Cappella dell’Ospedale Galliera dove nacque.  Fin da piccolo Alberto fu affascinato dalla figura del nonno materno, insignito di medaglia d’oro per un atto di eroismo, ed imparò a coltivare i valori della lealtà e della tenace e generosa dedizione di sé.  Il suo percorso di iniziazione cristiana proseguì con la Prima Comunione, ricevuta nella Parrocchia di San Gottardo il 28 maggio 1967, e con la Cresima, che gli fu amministrata il 4 giugno 1977 nella Parrocchia di San Bartolomeo di Staglieno.  Alberto dimostrò la solidità del suo carattere già nel periodo delle scuole medie, allorquando seppe con determinazione superare non poche difficoltà dovute al diverso ambiente in cui si era ritrovato.  Negli studi liceali ed universitari riportò ottimi risultati, in particolare nelle materie scientifiche, nelle quali era versato, ricevendo premi e riconoscimenti.  La riuscita negli studi mai però lo inorgoglì: dimostrando una sincera umiltà, egli attribuiva ogni successo a Dio, che metteva sempre al primo posto nella sua vita.  D’altra parte sapeva rendersi grato ai compagni, che non mancava di aiutare concretamente e sui quali riusciva ad esercitare influssi positivi.  Fin dall’infanzia dimostrò un forte senso religioso, che divenne assidua partecipazione alla preghiera ed impegno di testimonianza.  Nell’adolescenza egli si impegnò nella vita parrocchiale, sia frequentando l’Azione Cattolica Ragazzi, sia insegnando Catechismo.   Nel settembre 1977 Alberto conosce il Movimento dei Focolari, in particolare il gruppo giovanile (“Generazione Nuova”) tramite il suo Parroco, Don Mario Terrile.  La sua fisionomia spirituale si rafforza, raggiungendo livelli sempre più alti, con due particolari “amori spirituali”, a Gesù Eucaristico, che desidera ricevere quotidianamente, ed alla Beata Vergine Maria, che prega ed insegna a pregare con la recita del Santo Rosario.  Per le sue doti umane arricchite dalla Grazia, diventa un “leader” per gli altri giovani, che si meravigliano di trovare tanta maturità ed equilibrio spirituale in un coetaneo: Alberto sa trasmettere a tutti gioia ed entusiasmo nella fede con la sua forte personalità ed i suoi esempi.  Pur provando un vivissimo amore e rispetto nei confronti dei familiari, rispetto che si manifestava, ad esempio, nel cercare di non gravare eccessivamente sul bilancio familiare, Alberto, come si è detto, metteva sempre al primo posto Dio e quanto riguardava l’estensione del suo Regno.  Per la stessa sua famiglia fu uno stimolo ed un incoraggiamento nella fede, tanto che i suoi esempi andranno a costituire quella che viene definita “l’eredità silenziosa di Alberto”.  Forte della sua fede, non teme di andare contro corrente, vivendo ed insegnando valori giudicati da taluni obsoleti, come la purezza, da lui ritenuta invece strumento per raggiungere la vera libertà.  Preso da un desiderio di dedizione e di impegno assoluti, oltrepassa i limiti di un amore puramente “umano”, trascinando altri anche a scelte radicali di consacrazione.
Nell’ambito del Movimento dei Focolari maturò la splendida amicizia spirituale con Carlo Grisolia, di due anni più giovane di lui, e di cui pure si intraprende la causa di canonizzazione.  Tra i due giovani, che pur presentavano personalità ed indoli diverse, si formò una amicizia fondata sull’insegnamento ricevuto dalla fondatrice del movimento, Chiara Lubich, che raccomandava di “farsi santi insieme”.  Anche nei confronti di Carlo, almeno in una fase iniziale, Alberto seppe esercitare un ruolo di stimolo e di trascinamento verso impegni spirituali sempre più alti e costanti, che verranno poi assunti dal primo con sempre più viva e personale consapevolezza.  Un desiderio accomunava questi due giovani: mettere Dio al centro della propria vita.  Insieme parteciparono ad iniziative di preghiera e di carità nei confronti dei soggetti più poveri, coinvolgendo molti altri giovani.  Il 18 agosto 1980 Alberto, durante una ascensione in montagna, cade e muore.   Fin da subito si diffonde una vera e propria fama di santità, che si mantiene ed anzi si accresce fino ad oggi, e che ha portato all’iniziativa di avviare la causa di canonizzazione.
Emilio Artiglieri (Postulatore)

Carlo RITRATTOCarlo Grisolia nacque a Bologna, dove la famiglia risiedeva, il 29 dicembre 1960 da Alfonso e Clara Ferrando.  La famiglia Grisolia sarà, poco dopo la nascita di Carlo, provata dalla perdita di un’altra figlia, la piccola Fiorella, che morì di leucemia ad un anno di età. In occasione di tale lutto, papà Alfonso trovò conforto nell’ambiente di fede dei Focolari; anche mamma Clara, maestra elementare, venne, in seguito, in contatto con esponenti del Movimento, che seppero accompagnarla in una più consapevole vita di fede.   In questo clima, caratterizzato da una fede matura e da un forte senso della fraternità cristiana, crebbe Carlo: battezzato a Bologna l’8 gennaio 1961, ricevette la Prima Comunione il 5 giugno 1969 nella Parrocchia di Bosco Marengo, dove, nel frattempo il padre, funzionario dell’Amministrazione Penitenziaria, dopo una parentesi di alcuni anni a Genova, era stato trasferito.  Il 12 giugno 1971, ancora a Bosco Marengo, Carlo ricevette il Sacramento della Cresima.  La famiglia si trasferirà definitivamente a Genova, nella frazione della Canova in Val Bisagno, nel 1973.  Carlo riceverà da Chiara Lubich il nome nuovo di “VIR”, come ad indicare nella fortezza cristiana il tratto caratteristico che avrebbe dovuto assumere la sua personalità.  La vita di Carlo si può considerare come un cammino continuo verso la meta della maturità spirituale.  Di indole sensibile e poetica, Carlo manifestò una peculiare attitudine per la musica e per la composizione di canzoni che esprimevano la sua forte spiritualità, il suo desiderio di oltrepassare semplici orizzonti umani, in breve la sua esigenza di aderire radicalmente, senza compromessi, alla fede ricevuta.  Si può dire che egli, con l’aiuto della Grazia, abbia, con paziente autodisciplina, lavorato su se stesso, sul suo carattere, cercando di superare imperfezioni, timidezze, chiusure e tutto quanto poteva sembrare appartenere ad una dimensione infantile o, progressivamente, adolescenziale della vita.  Certamente Carlo non è rimasto un “sognatore”, e tanto meno si è ripiegato su se stesso e sulla propria, pur spiccata, sensibilità, ma, quale frutto del suo impegno, stimolato, sostenuto e completato dalla Grazia, ha dato dimostrazione, nella sua breve esistenza terrena, di un forte impegno ecclesiale e caritativo: ne sono esempi la sua cura per la preparazione della “Via Crucis” interparrocchiale (in un quartiere ideologicamente “difficile”) e la attiva partecipazione ed animazione di gruppi di volontariato, dediti all’assistenza delle persone più bisognose.  La concretezza delle opere non andava però mai a scapito della soda spiritualità, ma ne era semplicemente la proiezione all’esterno.  Circa la spiritualità di Carlo, merita evidenziare come in alcuni suoi scritti emergano temi mistici propri di chi già è molto avanzato sulla via della perfezione, come, ad esempio, quello della “notte oscura”.  Si può cogliere la vittoria sulla sua sensibilità nella raccomandazione che egli esprime in una lettera ad un amico: «non ti preoccupare se senti o non senti Dio, lasciati andare lo stesso. E’ un salto nel buio, ma devi farlo, perché solo così troverai la luce; non aspettare, non perdere tempo. Chissà quanta gente, quanti fratelli attendono di trovare Dio attraverso di te».  Se è vero che nel suo itinerario verso la santità Carlo è stato, almeno per un certo tratto, accompagnato e sostenuto da Alberto Michelotti, di cui ugualmente si avvia la causa di canonizzazione, tanto che il loro ideale era, secondo l’invito della Lubich, di “farsi Santi insieme”, non si può dimenticare che, a sua volta, Carlo divenne modello, anche nella fase precedente all’ultima malattia, di molti giovani e suscitò l’ammirazione di persone, anche ideologicamente lontane, che notavano come il suo straordinario impegno provenisse “dall’Alto”.  La sua maturità umana e cristiana appare in diverse circostanze, come quando, intervenuto eroicamente con un amico nell’opera di spegnimento di un incendio, si sottrasse alla notorietà e alle attestazioni di gratitudine, affermando che “l’importante era fare quell’azione, non arrivare sui giornali”.  Fu soprattutto però in occasione dei quaranta giorni della malattia, che lo portò poi alla morte, che si manifestò la grandezza spirituale del giovane, il quale, pur afflitto da forti dolori e consapevole della gravità del suo male, fu di straordinaria edificazione nei confronti di tutti quanti lo avvicinavano.  Il 18 agosto 1980 era morto, per incidente in montagna, Alberto Michelotti, e il giorno dopo Carlo venne ricoverato all’Ospedale Galliera per l’appalesarsi di un tumore maligno.  In breve le condizioni di Carlo, che nel frattempo venne trasferito all’Ospedale Villa Scassi di Genova Sampierdarena, andarono peggiorando.  A nulla valsero gli interventi dei medici, mentre Carlo subiva violente emorragie e crisi respiratorie.  Carlo offriva le sue sofferenze per la Chiesa, per il movimento dei Focolari e per Chiara Lubich.  Alla mamma, che lo assisteva, disse che era giunto “il momento del tuffo in Dio”.  Alle infermiere ripeteva: «io so dove vado», indicando così la sua speranza di ritrovare nella vita eterna il suo amico Alberto.  Nei giorni della sua malattia, Carlo si conformò al modello di Gesù abbandonato, tanto da giungere ad una forma di matrimonio mistico tra l’anima e Gesù, manifestato da una piccola corona di metallo con dieci tacche che di solito portava infilata in una delle dita della mano destra per recitare il Rosario e che egli desiderò gli fosse infilata, come anello nuziale, nel dito anulare della mano sinistra.  Si udiva Carlo esclamare: “Ho un solo sposo sulla terra”, espressione che è l’inizio di una meditazione della Lubich su Gesù crocifisso e abbandonato.  Si formava intanto già una vera “fama di santità” tanto che diversi infermieri e altre persone incominciarono a chiedere a Carlo oggetti religiosi, preghiere e favori spirituali.  Più si avvicinava il momento della dipartita, più cresceva l’anelito di Carlo di unirsi definitivamente a Gesù: «E’ bellissimo – diceva – andare incontro a Gesù»; «Voglio essere tutto di Dio».  Quanti si avvicinavano all’infermo avvertivano il senso della presenza di Dio, un senso di forte sacralità: Carlo appariva loro con l’austerità e la maturità di un anziano, di un Patriarca.  Assistito amorevolmente da famigliari ed amici, Carlo spirava dopo aver superato una notte di prova terribile, seguendo come poteva la recita dell’Ave Maria.  I funerali furono una vera festa di fede.  Negli anni che seguirono mai sono venuti meno il ricordo e l’ammirazione per questo giovane che, insieme ad Alberto Michelotti, è stato indicato come modello dal Cardinale Tarcisio Bertone per i Cristiani di oggi.
Emilio Artiglieri (Postulatore)

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